Il fatto che la Mora romagnola o comunque il suino medievale venisse sempre
rappresentato in prossimità di querce è molto significativo: nei miti e nelle tradizioni la quercia dava sempre l’idea di forza.
Il termine Quercus deriva dall’antico celtico e significa “bell’albero”; robus significa “forza”, da qui l’idea di accostare l’animale all’albero che tramite i propri frutti gli trasmetteva vigore e gusto.
Le tecniche di allevamento non subirono notevoli variazioni nel corso dei successivi secoli sia perché le richieste di mercato rimasero invariate sia perché le richieste fisiologiche della razza romagnola venivano soddisfatte a pieno dall’ambiente boschivo e con queste procedure l’animale riusciva a esprimere tutta la sua succulenza nelle carni suine. Un cambiamento fondamentale nella storia della “Mora romagnola” si ebbe nella fine dell’800 e più precisamente nel 1886, anno in cui cominciarono a essere importati in Romagna i primi esemplari di suini di razza York : maiali inglesi a cute chiara e setole bianche che godevano un’ottima fama di ottimi produttori di tagli magri . Ciò indusse, in particolar modo, un agricoltore-allevatore faentino, Paolo Acquaviva, ad acquistare una coppia di detti suini. Il caso volle che il verro inglese importato, lasciato al pascolo assieme alle scrofe “More” nel podere S.Lazzzaro, ne coprisse una.
Nacquero in seguito dei maialetti rossicci, dapprima poco apprezzati, ma che assai presto si fecero notare per lo straordinario sviluppo ed incremento in peso; superiori sia alla madre “Mora” che al padre inglese e presero piede nella suinicoltura romagnola. A questo proposito viene citato il dott. Gaetano Casadio che nella sua tesi di laurea del novembre 1934 intitolata “Problemi della suinicoltura romagnola” scrive: “La produzione e l’allevamento del maiale in romagna ha assunto ed è tuttora in floridissimo incremento ed ha un’importanza straordinaria. Mentre nei circondari di Ravenna e di Lugo l’allevamento e l’ingrasso dei suini assunse proporzioni ordinarie che non andavano, si può dire, quasi oltre i fabbisogni del consumo locale, Faenza invece diventò uno dei principali centri di esportazione dei suini.
Faenza fu il centro a cui fecero capo i veri produttori della razza anticamente chiamata Bruna romagnola specialmente dei comuni di Casola Valsenio, Brisighella, Modigliana, razza tanto meritevole di studio e di attenzione per quanto poco conosciuta, razza ottima sotto ogni rapporto, razza che trovasi ancora in purezza nell’appennino romagnolo quantunque a fianco di essa vada formandosi un altro tipo di suino determinato da quelli di regioni limitrofe, toscana specialmente, e dalla razza inglese York-shire nonché i relativi prodotti di incrocio. Cosa questa dovuta ai non sani criteri che seguono gli agricoltori nella scelta dei soggetti da riproduzione e che fortemente deve preoccupare . Perché se in tempo non si pone argine al dilagare di questo malanno vero e reale fra non molto la nostra bella razza suina sarà totalmente assorbita e rimpiazzata da una popolazione di suini meticci senza alcun pregio di razza ed economicamente svantaggiosa per essere adibite all’ingrasso.”
Riferendosi alla Mora Casadio aggiunge inoltre : “Questo porco è pregevolissimo per la frugalità : passa normalmente il primo anno di vita all’aperto, al pascolo, nutrendosi di radici di tuberi ed erbe e solo in qualche caso riceve una scarsa razione complementare data da grani, ghiande, e crusche. La sua carne suina è compatta abbondante in confronto del grasso, saporitissima, assai colorata e dotata di alto potere nutritivo; il lardo e il grasso sono assai aromatici e conservabili .” L’interessamento verso questa splendida razza continuò nel corso dello scorso secolo come si deduce dallo studio del dott. Umberto Neri del 1955 il quale nella sua tesi di laurea intitolata “I suini di razza “Mora” e delle razzette “S.Lazzaro” e “Bastianella” e la produzione dei “fumati romagnoli””, scrive : “L’ultimo censimento del settembre 1954 ci fornisce questi dati, relativi al numero dei suini presenti nel comune di Faenza :
Le tecniche di allevamento non subirono notevoli variazioni nel corso dei successivi secoli sia perché le richieste di mercato rimasero invariate sia perché le richieste fisiologiche della razza romagnola venivano soddisfatte a pieno dall’ambiente boschivo e con queste procedure l’animale riusciva a esprimere tutta la sua succulenza nelle carni suine. Un cambiamento fondamentale nella storia della “Mora romagnola” si ebbe nella fine dell’800 e più precisamente nel 1886, anno in cui cominciarono a essere importati in Romagna i primi esemplari di suini di razza York : maiali inglesi a cute chiara e setole bianche che godevano un’ottima fama di ottimi produttori di tagli magri . Ciò indusse, in particolar modo, un agricoltore-allevatore faentino, Paolo Acquaviva, ad acquistare una coppia di detti suini. Il caso volle che il verro inglese importato, lasciato al pascolo assieme alle scrofe “More” nel podere S.Lazzzaro, ne coprisse una.
Nacquero in seguito dei maialetti rossicci, dapprima poco apprezzati, ma che assai presto si fecero notare per lo straordinario sviluppo ed incremento in peso; superiori sia alla madre “Mora” che al padre inglese e presero piede nella suinicoltura romagnola. A questo proposito viene citato il dott. Gaetano Casadio che nella sua tesi di laurea del novembre 1934 intitolata “Problemi della suinicoltura romagnola” scrive: “La produzione e l’allevamento del maiale in romagna ha assunto ed è tuttora in floridissimo incremento ed ha un’importanza straordinaria. Mentre nei circondari di Ravenna e di Lugo l’allevamento e l’ingrasso dei suini assunse proporzioni ordinarie che non andavano, si può dire, quasi oltre i fabbisogni del consumo locale, Faenza invece diventò uno dei principali centri di esportazione dei suini.
Faenza fu il centro a cui fecero capo i veri produttori della razza anticamente chiamata Bruna romagnola specialmente dei comuni di Casola Valsenio, Brisighella, Modigliana, razza tanto meritevole di studio e di attenzione per quanto poco conosciuta, razza ottima sotto ogni rapporto, razza che trovasi ancora in purezza nell’appennino romagnolo quantunque a fianco di essa vada formandosi un altro tipo di suino determinato da quelli di regioni limitrofe, toscana specialmente, e dalla razza inglese York-shire nonché i relativi prodotti di incrocio. Cosa questa dovuta ai non sani criteri che seguono gli agricoltori nella scelta dei soggetti da riproduzione e che fortemente deve preoccupare . Perché se in tempo non si pone argine al dilagare di questo malanno vero e reale fra non molto la nostra bella razza suina sarà totalmente assorbita e rimpiazzata da una popolazione di suini meticci senza alcun pregio di razza ed economicamente svantaggiosa per essere adibite all’ingrasso.”
Riferendosi alla Mora Casadio aggiunge inoltre : “Questo porco è pregevolissimo per la frugalità : passa normalmente il primo anno di vita all’aperto, al pascolo, nutrendosi di radici di tuberi ed erbe e solo in qualche caso riceve una scarsa razione complementare data da grani, ghiande, e crusche. La sua carne suina è compatta abbondante in confronto del grasso, saporitissima, assai colorata e dotata di alto potere nutritivo; il lardo e il grasso sono assai aromatici e conservabili .” L’interessamento verso questa splendida razza continuò nel corso dello scorso secolo come si deduce dallo studio del dott. Umberto Neri del 1955 il quale nella sua tesi di laurea intitolata “I suini di razza “Mora” e delle razzette “S.Lazzaro” e “Bastianella” e la produzione dei “fumati romagnoli””, scrive : “L’ultimo censimento del settembre 1954 ci fornisce questi dati, relativi al numero dei suini presenti nel comune di Faenza :
- I. scrofe…….2950
- II. lattoni…….7339
- III. verri……….106
- IV. magroni…..8244
Da questa zona si esportano specialmente verso l’alta Emilia, La Lombardia, il Veneto, il Piemonte 30-35mila lattonzoli all’anno e i
salumifici dell’Italia settentrionale assorbono annualmente oltre 10 mila maiali grassi” .
Con gli anni ’60 e con l’industrializzazione dell’allevamento suino si mutò il panorama delle razze presenti in Romagna e la conformazione dei soggetti adibiti alla riproduzione con il conseguente rafforzamento della presenza di suini esteri, in particolare di origine inglese e tedesca, ottimi produttori di tagli pregiati .
Lo studio genetico del suino, associato alla duttilità delle nuove razze importate all’allevamento intensivo, giocò un ruolo importantissimo nell’abbandono della razza “Mora” associato, inoltre, all’abbandono delle colline da parte della popolazione agricola .
Nel corso del successivo ventennio (1960-80) la presenza dei suini di razza “Mora romagnola” si ridusse drasticamente a poche decine di soggetti allevati allo stato brado nella azienda agricola di un tale “Attilio di animalet” residente nella zona di Biforco (alto faentino) il quale vendette alcuni soggetti al sig. Mario Lazzari sotto vivo interessamento dell’allevatore in associazione con l’A.P.A di Ravenna .
Appena Lazzari fu in possesso dei soggetti non perse tempo a istituire il registro anagrafico della razza e quindi a preservarla dall’estinzione in collaborazione con il Dott. Casadei, all’epoca direttore dell’A.P.A stessa .
Fino ad oggi la razza ha avuto una sopravvivenza non priva di ostacoli mantenutasi grazie alla caparbietà e alla tenacia di pochi allevatori riuniti nel CO.P.A.F. (Consorzio di valorizzazione dei prodotti tipici e dell’artigianato dell’appennino Faentino e Forlivese) che ne hanno saputo apprezzare i valori delle carni e la sua ragione di vita nel contesto territoriale e culturale; pensiero che oggi, con gli studi recenti sulla biodiversità e il valore genetico delle razze autoctone, sta prendendo piede nella popolazione come riscoperta dei sapori genuini e della cultura romagnola .
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