La Mora romagnola è una razza che può essere inserita a pieno titolo non solo nella tradizione, ma anche nella cultura del territorio romagnolo.
Non è infatti un caso che sia un antenato della Mora ad essere raffigurata nelle scene pastorali scolpite nelle cattedrali romaniche della pianura padana o dipinte in quadri e in affreschi medioevali e rinascimentali .
Parliamo di epoche in cui i maiali venivano allevati allo stato brado nei boschi, in spazi dove potevano muoversi liberamente, rimanendo per questo motivo magri e snelli, con zampe lunghe e sottili.
I maiali di allora assomigliavano decisamente ai cinghiali, con i quali non era difficile avessero un incontro, sia per nutrimento (si cibavano infatti di ghiande, castagne, radici e frutti del sottobosco), sia per i tratti somatici (testa, grifo, orecchie, setole e conformazione ).
Secondo Baldelli (1999) il progenitore della Mora romagnola potrebbe essere stato il Sus Celticus di cui troviamo riferimento nel trattato De re rustica di Varrone .
Infatti, già al tempo dei romani, viene citata una razza suina “data dalla natura per farne lauti banchetti…. La prova che sono ottimi è che ogni anno importano a Roma dalla gallia cisalpina tre o quattro mila pezzi di carne suina”.
Questi animali erano solitamente allevati in pascoli acquitrinosi perché “esso ama non solo l’acqua ma anche il fango...è un bestiame, questo, che si nutre soprattutto di ghiande, in secondo luogo di fave, d’orzo e d’ogni altro genere di biade, ciò non solo li rende grassi ma rende anche saporita la loro carne .” “D’estate si conducono al pascolo la mattina e, prima che cominci la calura, si spingono in luoghi ombrosi specialmente dove c’è acqua mentre d’inverno non sono condotti a pascolare prima che si sia sciolto il gelo”.
L’importanza del “sus” rimase tale come la tecnica d’allevamento fino al medioevo, periodo in cui il maiale assunse un ruolo di primo piano nell’economia e nelle abitudini alimentari.
Questo cambiamento fu determinato soprattutto da due eventi:
I. Le modificazioni del paesaggio, che, con la crisi agricola e demografica iniziata nel III-IV secolo, vide grandemente estendersi le aree incolte e boschive, adatte all’allevamento brado dei suini ;
II. Il progressivo assorbimento dei modi di vita propri delle popolazioni germaniche, che a ondate successive si stanziavano nella valle padana.
Ma decisiva fu soprattutto l’invasione longobarda (569 d. C.), che a poco a poco diffuse consuetudini economiche e alimentari diverse da quelle romane; fra queste consuetudini, nate in una civiltà seminomade, che amava sfruttare la natura per ciò che spontaneamente offriva, aveva un posto di grande rilievo l’utilizzo dei boschi per il pascolo dei suini.
Si arrivò, quindi, ad avere una presenza massiccia di aree incolte: boschi, paludi, pascoli naturali .
Boscaglie di pini e lecci coprivano le zone costiere; faggi e conifere regnavano sulle alture montane; salici, pioppi, ontani, tigli accompagnavano i corsi d’acqua.
Le aree alberate presero talmente tanta importanza come disponibilità di alimento per i suini da essere misurate nel corso degli anni non come estensione ma in densità di maiali; ad esempio “il bosco di Alfiano può ingrassare 700 porci” ed era questa l’unica stima che si faceva visto che si riteneva il dato più utile da fornire .
Le aree alberate presero talmente tanta importanza come disponibilità di alimento per i suini da essere misurate nel corso degli anni non come estensione ma in densità di maiali; ad esempio “il bosco di Alfiano può ingrassare 700 porci” ed era questa l’unica stima che si faceva visto che si riteneva il dato più utile da fornire .
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