Da oltre vent'anni, l’allevamento del suino in quasi tutti i paesi a suinicoltura avanzata, è basato su criteri intensivi e semi-intensivi e la quota più rilevante della produzione suinicola tuttavia nelle varie tecniche, specialmente in alcuni paesi del nord Europa, a permesso lo sviluppo di allevamenti di tipo brado o semi-brado (free range-outdoor, plain air ecc.). Tali sistemi, in questi paesi si è stimato di circa il 30% degli allevamenti suini della Gran Bretagna e poco meno del 20% di quelli francesi.
Le condizioni climatiche tipiche di questi paesi, dove gli inverni sono rigidi e la piovosità è elevata durante tutto l’anno, non sembrano aver ostacolato il diffondersi di questo sistema di allevamento.
In pratica, considerata l’esperienza acquisita da questi allevatori, sembra che gli effetti negativi legati al clima possano essere limitati grazie a semplici accorgimenti tecnici e di gestione dell’allevamento.
Le ragioni che hanno condotto alla rapida diffusione di questa tecnica di allevamento in questi paesi sono molteplici .
In primo luogo questa forma di allevamento consente un ridotto impegno di capitali rispetto al tipo tradizionale, in cui i costi
finanziari e gli ammortamenti delle strutture possono penalizzare fortemente la redditività dell’impresa. Un ruolo positivo ha avuto anche l’abbondante disponibilità di terreni agricoli caratterizzati da una fertilità medio-bassa, quindi con un basso costo d’uso, dove questo allevamento rappresenta un’ottima alternativa alla coltivazione di cereali (grano orzo) o al set aside, imposto dalla Unione Europea.
In secondo luogo, i consumatori del nord Europa hanno sviluppato da tempo un’elevata sensibilità nei confronti del benessere degli animali allevati: già a metà degli anni ’60 in Gran Bretagna esistevano codici di comportamento per gli allevatori di suini norme di protezione per gli animali, mentre verso la fine degli anni ’80 , con molto anticipo sulle direttive Comunitarie di settore, in Svezia è stato introdotto il divieto di utilizzare gabbie singole di contenimento per le scrofe in lattazione e allattamento.
Infine, non va dimenticato il ruolo della grande distribuzione organizzata nel condizionare i sistemi di produzione degli alimenti .
Nel caso particolare delle carni suine la necessità di differenziare nuovi prodotti e marchi ha portato a importanti azioni di marketing, rivolte a supportare l’immagine di un prodotto di maggior qualità proveniente da allevamenti all’aperto free range-outdoor .
Per quanto riguarda invece i paesi dell’area mediterranea, l’allevamento brado o semi-brado del suino è conosciuto fin dall’antichità, soprattutto grazie alla possibilità di sfruttare gli ambienti di sottobosco .
Bisogna però notare come in Italia, nonostante le favorevoli condizioni climatiche, l’allevamento del suino all’aperto sia quasi inesistente, fatta eccezione per le attività di agriturismo, le produzioni biologiche e il recupero delle razze rustiche.
Ma perché allevare suini all’aperto?
L’allevamento dei suini in Italia viene praticato in porcilaie la cui tipologia si è sempre più standardizzata nel corso degli anni.
Nelle varie fasi di allevamento gli animali sono alloggiati in gabbie su pavimenti pieni o grigliati senza l’uso della lettiera ; le deiezioni sono raccolte in apposite vasche di stoccaggio per un periodo di maturazione prima di poter essere distribuite nei campi come fertilizzante.
La concentrazione degli animali per unità di superficie è elevata e ciò comporta a sistemi meccanici per ventilazione e il controllo termico, soprattutto nelle sale parto .
Da queste conclusioni è nata un’analisi critica del sistema e la necessità di reimpostare più o meno velocemente il modello di allevamento dei suini, sostenuta, inoltre, dall’opinione pubblica e dalla legislazione in materia di impatto ambientale .
In questa ottica, la gestione dei suini all’aperto può rispondere positivamente alle problematiche sopra ricordate .
L’allevamento semi-brado dei suini può essere una valida opportunità di integrazione al reddito aziendale per tutti gli agricoltori che hanno a disposizione terreni nelle vicinanze del centro aziendale, senza voler affrontare ingenti investimenti di capitali.
Uno degli aspetti che portano a considerare favorevolmente questa forma di allevamento è infatti il modesto impiego economico, legato all’esiguità delle strutture richieste per il ricovero degli animali e alla possibilità di eseguire in proprio i pochi lavori necessari perla manutenzione utilizzando anche materiali di recupero . Un secondo punto da considerare nella progettazione riguarda la possibilità di utilizzare terreni marginali caratterizzati da una fertilità ridotta.
Una volta individuata l’area da mettere a disposizione degli animali e accertato che le caratteristiche del terreno siano idonee, è necessario tracciare dei recinti con materiali “riciclati” (reti di vario tipo) per delimitare le aree da destinare alle diverse fasi del ciclo riproduttivo e evitare degli eventuali “incontri” con animali selvatici che andrebbero ad annullare tutte le caratteristiche tipiche della razza . Per rendere più sicura la recinzione si consiglia di utilizzare, inoltre, tre fili posti a 30-60-90 cm da terra sostenuti da pali robusti ben infissi nel terreno; nel caso in cui si voglia poi far passare all’interno del circuito la corrente è necessario fissarli attraverso appositi anelli isolanti . Può inoltre risultare necessaria una divisione fissa in rete metallica per proteggere la capannina degli alimenti e le attrezzature.
Nella costruzione dei ricoveri è necessario distinguere tre tipologie di strutture:
1. ricoveri per la fase di parto-allattamento
2. ricoveri per le scrofe gestanti (simili a quelli per i suini nella fese di accrescimento)
3. ricoveri per i lattoni.
Queste strutture, come detto sopra, possono essere costruite con materiali di recupero senza impiegare molti soldi nella realizzazione anche se una particolare attenzione è da porre all’isolamento dei ricoveri, specialmente di quelli delle scrofe che risentono di più della eccessiva temperatura. Le capannine per il parto e l’allattamento devono essere dimensionate in modo da ospitare una sola scrofa, libera di poter muoversi all’interno nei momenti di preparazione del nido e ospitare comodamente, poi, la nidiata.
Una volta partorito, però, nei casi in cui la madre sia ancora inesperta o sia goffa nei movimenti causa traumi o eccessiva mole, per l’allattamento, è consigliabile porre delle sbarre di contenimento per la puerpera e una fonte di calore in una zona del ricovero “sicura”. Per la preparazione del nido è consigliabile mettere a disposizione della scrofa un buon quantitativo di paglia che offrirà in un primo tempo un comodo “letto” per il travaglio e successivamente un rifugio per i piccoli dal freddo . Se si intende dare immediatamente un palchetto esterno a disposizione della covata è bene delimitarlo con delle assi alte 30-35 cm in modo tale da impedire ai suinetti di allontanarsi troppo dal rifugio. Infatti la madre, se possibile, cerca di mettere subito a contatto i propri piccoli col mondo esterno. Questa pratica, almeno nelle prime settimane, bisognerebbe impedirla in quanto i nuovi nati non sono ancora perfettamente abili sia nella locomozione sia nell’orientamento sia nel riconoscimento della propria madre in modo da evitare perdite per eccessiva aggressività da parte di altre scrofe non vogliose di allattare piccoli non propri o per smarrimento, soprattutto per chi ha allevamenti in terreni collinari.
Una volta superato il periodo di allattamento (40-60 giorni) i lattonzoli vengono trasferiti in gruppi di 25-30 animali in altri recinti costituiti da una zona di riposo su lettiera, una esterna, una di alimentazione coperta e una di defecazione . La superficie richiesta per suinetto varia in relazione al peso dell’animale , alle condizioni climatiche e a quelle fisiche e geologiche del terreno (capacità drenante per le deiezioni) . Le scrofe vengono messe, invece, in altre strutture adiacenti ai recinti dei verri in gruppi di numero variabile in base alla aggressività dei soggetti e alla grandezza del recinto in modo tale da riuscire a valutare quando la scrofa tornerà poi in estro e quindi sarà possibile fecondarla . Per quanto riguarda la somministrazione della razione alimentare è bene adibire a ciò un ampio spazio anche senza particolari strutture in quanto, essendo l’animale abituato a grufolare si adatta benissimo a mangiare anche da terra.
Differente, invece, deve essere l’approccio per i punti di abbeverata che devono essere sempre disponibili e atti a soddisfare le richieste idriche di tutti gli animali ; è quindi consigliabile una somministrazione ad libitum con acqua sempre pulita e fresca nei mesi estivi e tiepida nei mesi invernali per facilitare nel primo caso la dispersione di calore e nel secondo una più facile digestione . Da sottolineare è la fase di estro delle scrofe, il riconoscimento e la successiva inseminazione. Infatti, per una migliore gestione di questa fase dell’allevamento è consigliabile affiancare i recinti delle scrofe e delle scrofette con quelli dei verri presenti in azienda.
In questo modo sia le femmine che tornano in calore dopo il parto sia quelle che dimostrano i primi calori saranno stimolate in maniera opportuna dalla presenza e dall’odore dei maschi, evitando così di dover impiegare il proprio tempo per mettere a contatto i riproduttori e per dare la possibilità alla scrofa di scegliere il verro con cui accoppiarsi ( tecnica che si è visto porta a un maggior numero di nati). Una volta che la femmina dimostra il calore (attraverso grugniti frequenti e interessamento al verro) la si mette nel recinto del maschio ripetutamente per alcuni giorni in modo da avere la certezza della fecondazione e della paternità (aspetto molto importante specialmente per le razze Italiane, in via di estinzione).
Indice - Mora romagnola
Uno degli aspetti che portano a considerare favorevolmente questa forma di allevamento è infatti il modesto impiego economico, legato all’esiguità delle strutture richieste per il ricovero degli animali e alla possibilità di eseguire in proprio i pochi lavori necessari perla manutenzione utilizzando anche materiali di recupero . Un secondo punto da considerare nella progettazione riguarda la possibilità di utilizzare terreni marginali caratterizzati da una fertilità ridotta.
Una volta individuata l’area da mettere a disposizione degli animali e accertato che le caratteristiche del terreno siano idonee, è necessario tracciare dei recinti con materiali “riciclati” (reti di vario tipo) per delimitare le aree da destinare alle diverse fasi del ciclo riproduttivo e evitare degli eventuali “incontri” con animali selvatici che andrebbero ad annullare tutte le caratteristiche tipiche della razza . Per rendere più sicura la recinzione si consiglia di utilizzare, inoltre, tre fili posti a 30-60-90 cm da terra sostenuti da pali robusti ben infissi nel terreno; nel caso in cui si voglia poi far passare all’interno del circuito la corrente è necessario fissarli attraverso appositi anelli isolanti . Può inoltre risultare necessaria una divisione fissa in rete metallica per proteggere la capannina degli alimenti e le attrezzature.
Nella costruzione dei ricoveri è necessario distinguere tre tipologie di strutture:
1. ricoveri per la fase di parto-allattamento
2. ricoveri per le scrofe gestanti (simili a quelli per i suini nella fese di accrescimento)
3. ricoveri per i lattoni.
Queste strutture, come detto sopra, possono essere costruite con materiali di recupero senza impiegare molti soldi nella realizzazione anche se una particolare attenzione è da porre all’isolamento dei ricoveri, specialmente di quelli delle scrofe che risentono di più della eccessiva temperatura. Le capannine per il parto e l’allattamento devono essere dimensionate in modo da ospitare una sola scrofa, libera di poter muoversi all’interno nei momenti di preparazione del nido e ospitare comodamente, poi, la nidiata.
Una volta partorito, però, nei casi in cui la madre sia ancora inesperta o sia goffa nei movimenti causa traumi o eccessiva mole, per l’allattamento, è consigliabile porre delle sbarre di contenimento per la puerpera e una fonte di calore in una zona del ricovero “sicura”. Per la preparazione del nido è consigliabile mettere a disposizione della scrofa un buon quantitativo di paglia che offrirà in un primo tempo un comodo “letto” per il travaglio e successivamente un rifugio per i piccoli dal freddo . Se si intende dare immediatamente un palchetto esterno a disposizione della covata è bene delimitarlo con delle assi alte 30-35 cm in modo tale da impedire ai suinetti di allontanarsi troppo dal rifugio. Infatti la madre, se possibile, cerca di mettere subito a contatto i propri piccoli col mondo esterno. Questa pratica, almeno nelle prime settimane, bisognerebbe impedirla in quanto i nuovi nati non sono ancora perfettamente abili sia nella locomozione sia nell’orientamento sia nel riconoscimento della propria madre in modo da evitare perdite per eccessiva aggressività da parte di altre scrofe non vogliose di allattare piccoli non propri o per smarrimento, soprattutto per chi ha allevamenti in terreni collinari.
Una volta superato il periodo di allattamento (40-60 giorni) i lattonzoli vengono trasferiti in gruppi di 25-30 animali in altri recinti costituiti da una zona di riposo su lettiera, una esterna, una di alimentazione coperta e una di defecazione . La superficie richiesta per suinetto varia in relazione al peso dell’animale , alle condizioni climatiche e a quelle fisiche e geologiche del terreno (capacità drenante per le deiezioni) . Le scrofe vengono messe, invece, in altre strutture adiacenti ai recinti dei verri in gruppi di numero variabile in base alla aggressività dei soggetti e alla grandezza del recinto in modo tale da riuscire a valutare quando la scrofa tornerà poi in estro e quindi sarà possibile fecondarla . Per quanto riguarda la somministrazione della razione alimentare è bene adibire a ciò un ampio spazio anche senza particolari strutture in quanto, essendo l’animale abituato a grufolare si adatta benissimo a mangiare anche da terra.
Differente, invece, deve essere l’approccio per i punti di abbeverata che devono essere sempre disponibili e atti a soddisfare le richieste idriche di tutti gli animali ; è quindi consigliabile una somministrazione ad libitum con acqua sempre pulita e fresca nei mesi estivi e tiepida nei mesi invernali per facilitare nel primo caso la dispersione di calore e nel secondo una più facile digestione . Da sottolineare è la fase di estro delle scrofe, il riconoscimento e la successiva inseminazione. Infatti, per una migliore gestione di questa fase dell’allevamento è consigliabile affiancare i recinti delle scrofe e delle scrofette con quelli dei verri presenti in azienda.
In questo modo sia le femmine che tornano in calore dopo il parto sia quelle che dimostrano i primi calori saranno stimolate in maniera opportuna dalla presenza e dall’odore dei maschi, evitando così di dover impiegare il proprio tempo per mettere a contatto i riproduttori e per dare la possibilità alla scrofa di scegliere il verro con cui accoppiarsi ( tecnica che si è visto porta a un maggior numero di nati). Una volta che la femmina dimostra il calore (attraverso grugniti frequenti e interessamento al verro) la si mette nel recinto del maschio ripetutamente per alcuni giorni in modo da avere la certezza della fecondazione e della paternità (aspetto molto importante specialmente per le razze Italiane, in via di estinzione).
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