La Chiesa di Santa Chiara è diventato l'Attuale Teatro Rasi.
Nel 1874 l'edificio fu acquistata dal
Comune di Ravenna
e trasformato in teatro, intitolato,
nel 1919, all'attore ravennate Luigi Rasi.
La sua antica posizione viene indicata come "Santo Stefano in fundamenta Regis", cioè edificata sulle fondamenta della reggia. La chiesa era stata costruita da Chiara da Polenta nel 1255.
Fu acquistata dal comune di Ravenna nel 1874 e nel 1891 fu sistemata a teatro che, nel primo dopoguerra (1919), fu intitolato all'attore ravennate Luigi Rasi. I suoi stupendi affreschi, e la priora, Da Polenta, vanno ricordati affinché la si riporti all’antico splendore con le mura cariche di memorie. Si consiglia la visita dell’abside (dietro al palcoscenico) con il riuso continuo degli antichi mattoni, per osservare quanto ne resta. I magnifici affreschi trecenteschi, ora distaccati, si trovano presso il Museo Nazionale.
Le incoraggiavano e consigliavano i Frati Minori, e le appoggiava l'arcivescovo Filippo, che concesse loro esenzioni e privilegi, mentre il pontefice, Clemente IV, per sottrarle agli imprevedibili giochi della politica locale, le sottopose alla diretta dipendenza della Santa Sede (1268). Una di quelle donne era Chiara da Polenta, figlia di Geremia e zia di Guido (minore), che legò al convento tutte le sue sostanze, in vita e in morte (1292). La comunità ben presto ampliò gli edifici in cui si era insediata e ricostruì o ampliò la chiesa adiacente, il cui altare venne consacrato nel 1311 dall'arcivescovo Rinaldo da Concorrezzo. La chiesa non era inserita nella clausura, le cui severe modalità erano state riproposte con energia dall'arcivescovo con la costituzione sinodale del 1309; infatti i fedeli venivano invitati a frequentarla per lucrare un'indulgenza annualmente concessa nel giorno anniversario della consacrazione dell'altare.
La vita del convento ravennate delle Clarisse si è conclusa bruscamente nel 1805, con la soppressione ordinata da Napoleone. Dopo varie vicende l'edificio conventuale è stato abbattuto, risparmiando solo la chiesa, che è stata adibita prima a cavellerizza e poi a teatro, ed ha perduto i suoi ornamenti e la sua suppellettile, ma non la decorazione ad affresco del presbiterio, che era stato isolato dalla navata mediante un muro: forse per poter utilizzare come ripostiglio il modesto ambiente così ottenuto (poco più di sessanta metri quadri), o forse proprio per salvare gli affreschi che, come tutti quelli trecenteschi, venivano attribuiti a Giotto, amico di Dante, a sua volta ospite di Guido Novello.
Fu acquistata dal comune di Ravenna nel 1874 e nel 1891 fu sistemata a teatro che, nel primo dopoguerra (1919), fu intitolato all'attore ravennate Luigi Rasi. I suoi stupendi affreschi, e la priora, Da Polenta, vanno ricordati affinché la si riporti all’antico splendore con le mura cariche di memorie. Si consiglia la visita dell’abside (dietro al palcoscenico) con il riuso continuo degli antichi mattoni, per osservare quanto ne resta. I magnifici affreschi trecenteschi, ora distaccati, si trovano presso il Museo Nazionale.
Santa Chiara
Verso la metà del Duecento un gruppo di donne ravennati si costituì in comunità secondo la regola delle Clarisse di Assisi, per vivere in preghiera, in umiltà e in povertà intorno al vecchio oratorio di Santo Stefano in fundamento, in una zona periferica e quasi deserta della città.Le incoraggiavano e consigliavano i Frati Minori, e le appoggiava l'arcivescovo Filippo, che concesse loro esenzioni e privilegi, mentre il pontefice, Clemente IV, per sottrarle agli imprevedibili giochi della politica locale, le sottopose alla diretta dipendenza della Santa Sede (1268). Una di quelle donne era Chiara da Polenta, figlia di Geremia e zia di Guido (minore), che legò al convento tutte le sue sostanze, in vita e in morte (1292). La comunità ben presto ampliò gli edifici in cui si era insediata e ricostruì o ampliò la chiesa adiacente, il cui altare venne consacrato nel 1311 dall'arcivescovo Rinaldo da Concorrezzo. La chiesa non era inserita nella clausura, le cui severe modalità erano state riproposte con energia dall'arcivescovo con la costituzione sinodale del 1309; infatti i fedeli venivano invitati a frequentarla per lucrare un'indulgenza annualmente concessa nel giorno anniversario della consacrazione dell'altare.
La vita del convento ravennate delle Clarisse si è conclusa bruscamente nel 1805, con la soppressione ordinata da Napoleone. Dopo varie vicende l'edificio conventuale è stato abbattuto, risparmiando solo la chiesa, che è stata adibita prima a cavellerizza e poi a teatro, ed ha perduto i suoi ornamenti e la sua suppellettile, ma non la decorazione ad affresco del presbiterio, che era stato isolato dalla navata mediante un muro: forse per poter utilizzare come ripostiglio il modesto ambiente così ottenuto (poco più di sessanta metri quadri), o forse proprio per salvare gli affreschi che, come tutti quelli trecenteschi, venivano attribuiti a Giotto, amico di Dante, a sua volta ospite di Guido Novello.