Il Mausoleo di Teodorico fu fatto costruire dallo stesso Teodorico nel 520 d.C., come tomba. La struttura, che si articola in 2 ordini sovrapposti entrambi decagonali, è interamente costituita di pietra istriana.
E' ricoperto da una cupola di ricavata da un monoblocco anch'essa di pietra d'Istria, del diametro di 10 m. e pesa 300 tonnellate. Da una nicchia si accede all'ordine inferiore la cui destinazione, si presume, fosse quella di una cappella per lo svolgimento delle liturgie funebri.
Si accede al vano superiore attraverso una scaletta, all'interno è collocata una vasca di porfido dove si presume abbia trovato sepoltura lo stesso Teodorico; le sue spoglie vennero rimosse durante il dominio bizantino.
La leggenda della cupola del Mausoleo di Teodorico
La cupola del Mausoleo di Teodorico è offesa da una crepa che partendo quasi dal centro arriva quasi alla circonferenza. Secondo alcuni la causa di questa crepa sarebbe un fulmine, intorno al quale corre una leggenda; secondo altri, il cedimento delle fondamenta.
La leggenda è questa: a Teodorico era stato predetto che sarebbe morto a causa di un fulmine. Egli allora fece costruire il mausoleo con la grande cupola per nascondersi dentro di esso ogni volta che il cielo minacciava temporale. Ma la profezia doveva avverarsi, e il fulmine cadde sull'edificio penetrandovi e uccidendo così Teodirico.
Cenni storici su Teodorico
Nel 475-477 i barbari di varia stirpe (Alani, Sciri, Goti) che combattono come mercenari per l'imperatore Augusto (chiamato Augustolo per la sua tenera età e il delicato aspetto), pretendono dal padre suo il generale Oreste, di essere pagati. fra i barbari primeggia un certo Odoacre, detto "doriforo" (combattente armato di lancia). Costui promette che, se lo sosterranno come loro comandante, sarà in grado di ottenere ciò che essi chiedono.
Alla testa dei barbari, Odoacre coglie di sorpresa le guardie fedeli di Oreste. Le immobilizza e uccide il generale. Quindi, raggiunta Ravenna, dove entra fingendo di essere al servizio della guarnigione, il barbaro massacra un congruo numero di resistenti e sfonda il portale del palazzo imperiale. Ma, giunto al cospetto del fanciullo assiso in trono, "intenerito per la sua giovane età e la di lui bellezza", lo risparmia.
Come ogni condottiero di stirpe germanica che si rispetti,
Teodorico si muove con l'intero esercito composto di 40.000 armati, ma si porta appresso anche tutto il suo popolo al completo, donne, vecchi, bambini e bestiame. Nell'agosto del 489 raggiunge l'Isonzo, dove si scontra con Odoacre e lo sconfigge. Odoacre si ritira con i superstiti, rifugiandosi a Verona. Raccoglie un nuovo esercito con il quale riaffronta i Goti sull'Adige in un sanguinoso combattimento, e viene nuovamente sconfitto. Odoacre s'incammina verso Roma con il resto dei suoi uomini, ma i Romani gli chiudono le porte in faccia.
Odoacre quindi si rintana in Ravenna. Teodorico, con nuovi rinforzi, s'appresta a stringerla d'assedio, ma, come giunge nei pressi delle città, è preso dallo sgomento: non s'aspettava che la laguna intorno a Ravenna fosse a tal punto vasta e invalicabile.
Teodorico decide di occupare la vicina Rimini in Romagna, vi sequestra tutte le navi, e si porta, con quella flotta, di fronte alla costa ravennate, bloccandovi ogni accesso. La popolazione degli assediati comincia a soffrire la fame. Ma il guaio peggiore sono le febbri, di cui soffrono quasi tutti gli armati e il popolo di donne e bambini al loro seguito. A questo punto, il 27 febbraio del 493, entra in scena il vescovo di Ravenna Giovanni, il quale, come narrano le cronache, è fortemente angustiato per le sofferenze del suo popolo che vede soccombere sotto i morsi della fame. Cerca di convincere il re dei barbari, Odoacre, a trovare un accordo onorevole di resa. Sistemato il problema del potere unico, Teodorico raduna nella piazza principale la popolazione superstite. Ha già provveduto a distribuire cibo. Tutti lo applaudono festosi.
Egli tuttavia sa bene che quelle sono ovazioni non certo dettate da affetto, ma dal terrore. Quelle gente bisogna conquistarsela coi fatti. Teodorico ha elaborato un programma. Innanzitutto riceve pubblicamente il vescovo che ha tanto contribuito alla vittoria e gli elargisce gran numero di privilegi. Ossequia i rappresentanti delle altre comunità religiose, a cominciare dai vescovi Ariani, cioè dai maggiori rappresentanti della sua dottrina. Riceve i rabbini della comunità ebraica, allora molto numerosa, e i sacerdoti della dottrina pagana. A tutti garantisce la totale libertà di culto: nessuna persecuzione contro gli eventuali eretici di qualsiasi credo.
Costruisce nuovi palazzi e un buon numero di edifici per il culto ariano. Esempi ancora esistenti della sua attività edilizia sono: il Battistero, detto appunto degli Ariani, e Sant'Apollinare nuovo, nonchè il famoso Mausoleo, detto di Teodorico.
Teodorico si trova in conflitto con il suo consigliere, specie per quanto riguarda l'etica del potere.
Il pensiero di Boezio, relativo all'ingerenza del re nella giustizia e nella gestione della dottrina religiosa, irrita fortemente Teodorico. Costui, pur di eliminarlo, si avvale di una falsa delazione dei due calunniatori già condannati da Boezio, e lo fa incriminare come fomentatore di una rivolta a suo danno. Il grande filosofo, conosciuto come precursore degli scolastici, viene portato a Pavia, sede ormai storica degli Ostrogoti. Viene rinchiuso in una torre. Non solo per i filosofi sono tempi duri, ma anche per i Pontefici; infatti Teodorico, per divergenze politiche con Papa Giovanni I, lo fa incarcerare e non lo libera nemmeno quando viene a sapere che il sant'uomo sta per morire.
Sulle ragioni e sulla meccanica della sua fine esiste più di una versione: secondo la favola, ripresa dai poeti romantici, che vede il re cavalcante il suo destriero, sulla cima di un vulcano, addirittura l'Etna, il cavallo impazzito, si butta nel cratere infuocato, trascinando con sé il disgraziato re che, precipitando, urla sconvolto: "Ma che ci son venuto a fare io, qui, in Sicilia?"
L'altra versione, grottesca ma più attendibile, è quella che descrive Teodorico roso dai ricordi delle sue orrende azioni. Egli si mette a tavola. La bocca del pesce si spalanca e fra i suoi denti appare la testa di un uomo: è quella del senatore Simmaco! Il re, qualche giorno prima aveva ordinato che gli venisse mozzato il capo, e quindi gettato in mare. A Teodorico sfugge un urlo di raccapriccio, trema, poi spalanca gli occhi e la bocca in una terrificante smorfia. Si rovescia in avanti verso il pesce e si ritrova faccia a faccia con il capo mozzo del senatore. Entrambi morti stecchiti.