Questa enorme chiesa fa risalire la sua storia nella Cesena del 1377. Probabilmente non esisteva a Cesena alcun convento di Domenicani quando San Pietro Martire predicava nella piazza cittadina negli ultimi anni prima della sua uccisione (6 aprile 1252).
Il frate, infatti, abitava una casa nella Murata, vicino alla chiesa di San Giovanni Evangelista.
La più antica notizia che attesta senza dubbio l'esistenza di un convento di frati predicatori a Cesena risale al 1279 e riguarda l'acquisto della chiesa parrocchiale di San Fortunato e di alcune case ad essa adiacenti per costruire una stabile sede dell'ordine.
È probabile che proprio dalla costruzione della chiesa dei Domenicani al posto di San Fortunato sia nato il toponimo di "Chiesanuova". Il convento, nel quale fu istituito uno Studio di filosofia e teologia, fu dal Trecento sede del Vicariato provinciale del Sant'Uffizio, il cui inestimabile archivio fu però bruciato al momento della soppressione, nel 1797.
Ben poco sappiamo di questa antica chiesa della Romagna e dell'oratorio della Compagnia del Rosario ad essa attiguo, se non che l'abside della prima fu decorato nel 1571-72 dai forlivesi Francesco Menzocchi e Livio Modigliani, autori anche di un'ancona bifronte per l'altar maggiore, perduta.
Sappiamo di restauri condotti alla chiesa cesenate nel 1601, anno in cui il pittore toscano Ludovico Cardi (il Cigoli) consegnava una pala con La Madonna col Bambino e quattro Santi, emigrata in Francia al tempo delle spoliazioni napoleoniche e in anni recenti ritrovata a far mostra di sé nella chiesa di Notre Dame de Bonne Nouvelle a Parigi.
Nel 1706 la vecchia chiesa fu demolita per dar luogo all'attuale, realizzata su progetto di Giovanni Francesco Zondini. Una lunga vertenza con la Compagnia del Rosario, che non voleva cedere il proprio oratorio al posto del quale dovevano sorgere il presbiterio e l'abside, rese necessario l'intervento del papa, il domenicano Benedetto XIII Orsini, già vescovo di Cesena.
La chiesa fu terminata solo dopo il 1725.
Al momento delle soppressioni il vasto convento fu trasformato in orfanotrofio e, dal 1811, in ospedale civico. Conservata questa funzione per oltre un secolo, è oggi adibito a sede scolastica. È stato parzialmente restaurato nel 1985. La chiesa, invece, fu designata come sede della parrocchia di San Martino, qui trasferita dall'antica chiesa che sorgeva nei pressi. L'edificio che il giovane parroco don Domenico Bazzocchi si vide affidato il 2 settembre 1805 era stato quasi completamente spogliato, negli anni precedenti, dei quadri come delle suppellettili.
Praticamente nessuno si preoccupava, a Cesena, della conservazione dell'immenso patrimono artistico delle chiese romagnole e dei conventi soppressi. Decine di opere furono in quegli anni vendute e disperse, quando non distrutte, senza alcun riguardo per il loro valore.
Don Bazzocchi intuì la gravità di quanto stava accadendo e con una frequentazione assidua del mercato in piazza, dove questo patrimonio veniva disperso, acquistò un grande numero di tele provenienti da molte delle quarantaquattro fra chiese, oratori e confraternite soppressi.
Gli acquisti furono condotti senza alcuna conoscenza specifica, cosicchè è facile imbattersi, nel fantastico patrimonio ancor oggi in possesso della chiesa, in tele di scarso e nessun valore. Come gli acquisti, assai disinvolti furono anche i restauri e gli adattamenti cui molte opere vennero sottoposte.
In ogni caso, però, la raccolta di quadri conservata in San Domenico è senza dubbio di inestimabile valore artistico e storico e meriterebbe maggiori cure nella conservazione e nell'esposizione.
All'esterno, la mole della chiesa si caratterizza per l'efficace gioco di masse, il cui effetto era probabilmente accentuato un tempo dal contrasto con l'edilizia minore che le si addossava.
L'ingresso abituale è quello laterale, riparato da un protiro con colonne quattrocentesche di recupero.
L'interno ha pianta longitudinale, una sola navata, tre cappelle per lato (di cui quella centrale maggiore delle altre) e abside semicircolare. Un potente ordine di lesene corinzie corre lungo il perimetro: con l'alta cornice che sostiene, accentua il movimento scenografico e la dilatazione degli spazi laterali e, allo stesso tempo, sottolinea la limpidezza geometrica della volta a botte.
Questa marcata articolazione dei piani verticali privilegia una veduta in profondità, dall'ingresso principale all'altar maggiore con la sua grande tela, e chiarisce bene quanto debba a certo gusto per la spettacolarità barocca la pur settecentesca opera dello Zondini.
Nella controfacciata, in alto, "Sant'Aldebrando resuscita la pernice", recentemente riconosciuto come opera del cesenate Andrea Mainardi e di Cristoforo Serra, cui spetterebbe la figura dell'uomo inginocchiato.