Cattedrale di San Giovanni Battista di Cesena
Dedicato a San Giovani Battista, era sorto nella Murata, forse nell'area in cui oggi si trovano lo sferisterio e la porta Montanara. Di questa costruzione, accanto alla quale sorgeva anche il palazzo vescovile, restano testimonianze documentarie così scarse da rendere azzardato ogni tentativo di localizzarla più precisamente. La prima notizia che attesta l'intenzione di costruire a Cesena una nuova chiesa cattedrale al piano è comunque anteriore al sacco dei "Brettoni": il 2 agosto 1368, papa Urbano VI risponde alla richiesta dei cesenati di costruire un nuovo duomo al posto della chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate, detta della Croce di Marmo.Già allora, infatti, era difficile per i cittadini della Romagna accedere al duomo di Cesena chiuso nella Murata. Le ricerche archivistiche condotti da Pietro Burchi hanno consentito di fissare l'inizio della costruzione della nuova chiesa attorno al 1385. Non sappiamo quando essa fu consacrata: certamente era già aperta al culto nel 1398. Il campanile del duomo di Cesena fu realizzato solo alcuni decenni dopo (era ancora in costruzione nel 1456). Il nome di mastro Maso, che troviamo coinvolto anche nella costruzione dell'osservanza, è tramandato da una iscrizione posta all'interno della cella campanaria. Nessuna testimonianza storica contemporanea alla costruzione della chiesa, invece, ci tramanda il nome del suo architetto. Solo Nicolò II Masini, nella seconda metà del Cinquecento, ricorderà, rielaborando documenti più antichi, un Undevualdo, nome da altri più volte modificato fino alle correnti accezioni moderne, Unterwald o Underwalden. La storia del duomo di Cesena, San Giovanni Battista è, come in tutti i casi di edifici religiosi di tale importanza, segnata da continui lavori di rifacimento, modifica, arricchimento e sostituzione di opere d'arte, apertura e chiusura di cappelle, costruzione e smantellamento di altari.
Il riassunto di queste vicende ci permetterà di comprendere le ragioni dell'attuale aspetto della chiesa, frutto di quasi due secoli di tentativi di ripristinare un carattere gotico presunto "originale". Fra il 1467 e il 1517 l'edificio si arricchì di importanti opere scultoree di artisti "forestieri" del rango del fiorentino Ottaviano di Antonio di Duccio e dei veneziani Lorenzo e Giovanni Battista Bregno. Fra Quattro e Cinquecento si completò anche la facciata e, negli anni successivi, si realizzarono le volte nelle navate laterali. Intanto cresceva disordinatamente il numero degli altari e delle cappelle minori. Nel 1572 il vescovo Edoardo Gualandi promuoveva un'opera complessiva di ristrutturazione e ridecorazione: fu chiusa la cripta (che si trovava al centro della navata principale) e si riformarono le cappelle e il presbiterio, decorato con un paramento di colonne ioniche in legno dorato. Nel 1651 si costruì la volta della navata di mezzo e trenta anni dopo (1681) il cardinale Orsini patrocinò altre vaste opere di restauro e decorazione. Nel 1746 la costruzione della cappella della Madonna del Popolo che, con il suo sfolgorante rivestimento marmoreo e, soprattutto, con gli affreschi di Corrado Giaquinto, si pose come momento cruciale nella vita artistica cesenate del secolo.
I lavori eseguiti a partire dal 1810 segnarono un'inversione di tendenza, volti come erano a cancellare l'aspetto ormai compiutamente barocco della chiesa per recuperare, almeno in parte, la presunta semplicità delle origini. Molti ornamenti sei e settecenteschi furono eliminati, e fra questi il baldacchino sull'altare maggiore, il grande pulpito e i dodici quadroni con gli Apostoli, alcuni dei quali sono oggi in San Domenico. Tutta la chiesa venne dipinta di bianco. Con i lavori del 1843-44 e, ancor più, con quelli di fine secolo, l'interno fu trasformato in un inquietante falso gotico: archi acuti alle finestre, volte a crociera sulle navate, completo rifacimento, in stile, di tutti gli altari. Il grottesco travestimento rimase allestito fino al 1957, quando si avviarono i definitivi restauri che, condotti da Ferdinando Forlati, portarono almeno al recupero delle parti architettoniche autentiche e allo smantellamento dei falsi, senza la pretesa di dare alla chiesa un volto "originale" mai esistito. Abbassato il pavimento e ripristinati i pilastri, demolite le crociere e rimesse in luce le originali capriate lignee (alcune delle quali con avanzi di dorature e di decorazioni rosse e turchine), eliminati gli altari ottocenteschi in cemento, si costruì una nuova cripta sotto il presbiterio.
Certamente, l'attuale aspetto della chiesa non riproduce nessuno di quelli che essa ha avuto in passato. La sua storia resta però assai ben documentata al suo interno dove, se non altro, convivono almeno in parte1 segni del difficile cammino che il duomo di Cesena ha percorso dal 1385 ad oggi. La facciata in laterizio è scandita nella parte inferiore da otto lesene. Alle estremità del registro superiore, due pilastrini in cotto e due lunette a tutto sesto. Nella parte centrale, sormontata da timpano triangolare, una coppia di lesene in cotto ornate; in mezzo, un grande occhio con fregio decorato a serafini. Il portale in pietra strombato e a pieno sesto, è ornato da colonnine tortili e girali di gusto tra gotico e rinascimentale. Ritenuto per tradizione proveniente dalla trecentesca chiesa di San Lorenzo, è oggi da alcuni considerata opera quattrocentesca realizzata appositamente per la fabbrica del duomo.
A destra, in una nicchia, "Madonna col Bambino" scultura goticheggiante in pietra firmata "Gotardus" (sec. XV/XVI). La statua di San Giovanni Battista, dello scultore Leonardo Lucchi, è stata collocata nell'area del demolito battistero nel 1989. Nella controfacciata, sopra la bussola dell'ingresso, "La Vergine in gloria con i Santi Martiri cesenati Eugario, Firmio, Genesio e Concordia", tela già in San Severo. Opera seicentesca, è interessante soprattutto perché reca una veduta della città. È stata variamente attribuita a Giambattista Bolognini, a Francesco Masini e a Giambattista Razzani. A destra dell'ingresso, piccola testa di Cristo, in porfido, firmata dal cesenate Francesco Giudice. Sopra, lapide datata 1650 recante un ovale con "La Vergine e il Bambino". Segue l'urna di San Mauro, in rame (1645). Sopra, Sant'Antonio Abate, scultura cinquecentesca proveniente dall'omonimo ospedale un tempo in Chiesanuova. Nella navata destra, crocifisso ligneo già in San Zenone (1626) e, di seguito, il monumento funebre del vescovo Antonio Malatesta da Fossombrone, commissionato nel 1467 al fiorentino Ottaviano di Antonio di Duccio. Collocato originariamente nel coro, è stato più volte spostato e, probabilmente, mutilato. Poco più avanti, l'altare del Corpo di Cristo, senza dubbio la massima opera scultorea conservata a Cesena, realizzata fra il 1494 e il 1505 dal veneziano Giovanni Battista Bregno. Entro la nicchia racchiusa fra due pilastri decorati con candelabre "all'antica" lo scultore ha raffigurato, al centro, "Cristo che raccoglie il proprio sangue in un calice fra i santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista" e, ai lati, "Carlo e Camillo Verardi inginocchiati". Nei tondi, la "Vergine Annunziata e l'Arcangelo Gabriele". La conca, nella quale si ipotizza fosse originariamente la figura del Padre Eterno, contiene oggi una conchiglia novecentesca. L'interacomposizione è stata ricollocata nel sito originario nel 1886-92, dopo aver subito una serie di spostamenti nel corso dei quali è andata perduta la mensa originaria. In fondo alla navata, sotto l'organo, si apre l'ingresso a ciò che resta della cappella di San Tobia, già parte dell'antico, omonimo ospedale, oggi parzialmente ridotta a portico di pubblico passaggio. Della struttura rinascimentale, alterata nel Settecento, rimangono le decorazioni in pietra all'esterno. L'ambiente interno, che ha perso la sua destinazione religiosa, conserva un apparato ornamentale di mediocre fattura. Nell'abside, completamente spogliata delle decorazioni ottocentesche, restano due quadroni di Giuseppe Milani, commissionati dal vescovo Aguselli in onore di Pio VI: rappresentano "La nascita" (a sinistra) e "Il martirio di San Giovanni Battista". Nella navata sinistra, la cappella della Trinità, riscoperta nel 1957-60 al momento della rimozione del monumento al vescovo Malatesta. Gli affreschi riportati alla luce risalgono al1509. Nella nicchia è collocata l'urna marmorea seicentesca che conteneva le spoglie di San Severo, già nella chiesa dedicata al santo. Segue un'antichissima meridiana proveniente forse dal vecchio Duomo nella Murata. Si passi nella prima sacrestia, arredata con bellissimi armadi intagliati e decorati con motivi architettonici, opera di Fabio Urbini (1774), già nella sacrestia di San Severo. Il soffitto a cassettoni è del sec. XVI. Nell'adiacente seconda sacrestia si conserva un lavabo rinascimentale in pietra. Sulla porta d'accesso alle sacrestie, in chiesa, "San Gregorio Magno", tela di Scipione Sacco commissionata da Gerolamo Dandini nel 1542. Più avanti, la lastra frontale del sarcofago di San Severo, recentemente attribuita a Gottardo Gottardi, nella quale sono raffigurati il copatrono della città con ai lati due probabili committenti oranti, due angeli e una folla di fedeli. La Cappella della Madonna del Popolo, già Albizzi, fu ridotta nelle forme attuali da Pietro Carlo Borboni attorno al 1750, sopraelevando e coprendo con una calotta una cappella preesistente.
A pianta quadrata, è segnata agli angoli da pilastri corinzi e decorata da un lussureggiante apparato di marmi policromi la cui realizzazione si protrasse per quasi un secolo. Nella calotta semisferica e nei pennacchi, bellissimi affreschi di Corrado Giaquinto (1751-52) raffiguranti rispettivamente "Il Paradiso con la Vergine", "Il Bambino e personaggi dell'Antico Testamento" e "I profeti Baruc, Ezechiele, Isaia e Geremia". La parete di fondo e l'altare sono stati, rifatti nel 1882. Nell'ancona si conserva la "Madonna del Popolo", piccolo affresco cinquecentesco, già in un luogo imprecisato nei pressi dell'ingresso della cattedrale, trasportato nel Seicento sull'altare maggiore. La tradizione attribuisce il dipinto a Bartolomeo Ramenghi da Bagnacavallo. Gli angeli in stucco sulle porte laterali sono di Antonio Trentanove (1796). Segue, nella navata, il trittico scultoreo con "I santi Leonardo, Cristoforo ed Eustachio", realizzato a Venezia da Lorenzo Bregno, cui era stato commissionato nel 1514, e collocato in chiesa nel 1514. Smembrato alla fine dell'Ottocento, è stato ricomposto nel corso degli ultimi restauri. Nella nicchia del battistero si conservano avanzi di affreschi cinquecenteschi con "San Rocco e San Vincenzo Ferreri". Al centro, "San Giovanni Battista", tela di Benedetto Gennari. Il fonte battesimale (1511) proviene dalla chiesa di Casalbono.